Ecco i 5 segnali che un collega ti sta sabotando sul lavoro, secondo la psicologia

Hai presente quella sensazione strana che provi quando torni in ufficio dopo il weekend? Quella sensazione che qualcosa non quadra, che c’è qualcosa nell’aria che non va? Non è paranoia. A volte, il problema non è il carico di lavoro, non è il capo esigente, non è nemmeno la macchinetta del caffè rotta per la terza volta questo mese. A volte il problema è quella persona con cui condividi lo spazio della stampante, quella che ti sorride quando ti incrocia in corridoio ma che, dietro quella facciata cordiale, sta sistematicamente sabotando il tuo percorso professionale.

Benvenuto nel club di chi ha scoperto sulla propria pelle cosa significa avere colleghi sleali. E no, non stiamo parlando di quella competizione sana che esiste in ogni ambiente lavorativo, quella che ti spinge a dare il meglio. Parliamo di qualcosa di molto più subdolo: comportamenti deliberati, ripetuti e dannosi che gli esperti chiamano mobbing orizzontale e sabotaggio professionale, ma che nel linguaggio di tutti i giorni potremmo tranquillamente definire “pugnalate alle spalle versione ufficio”.

La Scienza Dietro il Tradimento Professionale

Prima di entrare nel vivo della questione, facciamo un passo indietro. Perché è importante parlarne? Perché la ricerca sul bullismo sul posto di lavoro e sul mobbing ci dice che questi comportamenti non sono affatto rari. Anzi. Il sabotaggio tra colleghi rappresenta una delle forme più diffuse di violenza psicologica negli ambienti lavorativi italiani. E la cosa più insidiosa? È anche quella più difficile da riconoscere e da provare.

Quando parliamo di mobbing orizzontale, ci riferiamo a dinamiche che avvengono tra pari, non tra capo e dipendente. Sono quelle situazioni in cui il tuo collega di scrivania, quello con cui teoricamente dovresti collaborare, diventa invece il tuo peggior ostacolo. La letteratura psicologica, in particolare gli studi sulla aggressività relazionale in età adulta, ci spiega che questo tipo di comportamenti nasce da un mix esplosivo di invidia professionale, insicurezza personale e gestione disfunzionale della competizione.

Heinz Leymann, lo psicologo che per primo ha studiato sistematicamente il mobbing negli anni Ottanta, ha identificato pattern precisi che si ripetono nei contesti lavorativi tossici. E la parte interessante è che questi pattern sono universali: li ritrovi nell’azienda tecnologica di Milano come nell’ufficio pubblico di Palermo.

Perché Qualcuno Dovrebbe Sabotarti?

La domanda da un milione di euro: ma perché mai una persona dovrebbe investire tempo ed energie per metterti i bastoni tra le ruote? La risposta sta nella psicologia della competizione e dell’invidia sociale. L’invidia professionale è una delle emozioni più potenti e meno discusse negli ambienti di lavoro. Quando qualcuno ti percepisce come una minaccia al proprio status, alla propria posizione o semplicemente al proprio ego, può scattare una reazione difensiva che si manifesta attraverso il sabotaggio.

Non stiamo parlando necessariamente di persone malvagie per natura. Spesso sono individui profondamente insicuri che, invece di lavorare su se stessi e sulle proprie competenze, scelgono la via più facile: abbassare gli altri per sembrare più alti. È una strategia perdente sul lungo periodo, ma sul breve può dare risultati, soprattutto in organizzazioni che premiano chi arriva primo a qualsiasi costo.

I Segnali che Dovresti Riconoscere

Ora arriviamo alla parte pratica. Come fai a capire se sei vittima di sabotaggio professionale o se semplicemente hai un collega un po’ antipatico? La differenza sta in tre parole chiave identificate dalla ricerca sul mobbing: ripetitività, intenzionalità e sistematicità. Un episodio isolato non fa mobbing. Un pattern che si ripete settimana dopo settimana, mese dopo mese, quello sì che è un problema.

Il Furto di Meriti e lo Scaricabarile Strategico

Hai passato settimane a sviluppare una presentazione killer per un cliente importante. La presenti al team, tutti concordano che è fantastica, e poi… sorpresa! Alla riunione con il cliente, il tuo collega presenta quell’idea come se fosse stata farina del suo sacco. Tu resti lì, a bocca aperta, mentre lui raccoglie tutti i complimenti. Quando provi a dire qualcosa, ti guardano come se fossi tu quello fuori luogo.

Questo comportamento è uno dei più classici. Si chiama appropriazione sistematica dei meriti, ed è una forma di delegittimazione professionale che mina la tua credibilità agli occhi di chi conta. Il bello è che funziona anche al contrario: quando qualcosa va storto, improvvisamente diventi tu il capro espiatorio, anche se il progetto non lo hai nemmeno toccato.

L’Arte dell’Esclusione Strategica

Hai presente quando improvvisamente scopri che c’è stata una riunione importantissima che riguardava direttamente il tuo lavoro e tu non sei stato invitato? O quando realizzi che le email cruciali stranamente non ti arrivano mai in copia? O magari quando ti accorgi che le decisioni vengono prese senza consultarti, anche se dovresti essere coinvolto?

L’isolamento sociale intenzionale è tra i comportamenti più dannosi psicologicamente. Il motivo è semplice: da un lato ti impedisce concretamente di fare bene il tuo lavoro perché non hai le informazioni necessarie, dall’altro manda un messaggio implicito a tutti gli altri. “Questa persona non conta, non è parte del gruppo”. E nel tempo, questo messaggio diventa realtà.

Il Sabotaggio Camuffato da Dimenticanza

Questa è particolarmente subdola. Ti dicono che la scadenza è venerdì quando in realtà è mercoledì. Ti passano dati che scopri essere completamente sbagliati solo quando stai facendo la presentazione al capo. “Dimenticano” di avvisarti di cambiamenti cruciali che impattano sul tuo progetto. E quando li fai notare, la risposta è sempre la stessa: “Ops, pensavo lo sapessi” oppure “Mi sono dimenticato, scusa”.

Fornire informazioni false o incomplete per creare problemi a un collega è una forma riconosciuta di sabotaggio professionale. Il bello è che chi lo fa può sempre nascondersi dietro l’errore umano. Ma quando diventa un pattern ricorrente, l’intenzionalità diventa palese. Una dimenticanza capita a tutti. Dieci dimenticanze che colpiscono sempre e solo te? Quello non è più caso, è strategia.

La Campagna Diffamatoria Sotterranea

Parliamo ora del comportamento più classicamente associato al “pugnalare alle spalle”: il pettegolezzo maligno e la diffusione di voci. Commenti velenosi sussurrati vicino alla macchinetta del caffè. Insinuazioni sulla tua professionalità fatte “in confidenza” a persone strategicamente scelte. Ridicolizzazione delle tue idee in tua assenza. Sospetti infondati sul tuo operato che improvvisamente diventano di dominio pubblico.

Il danno qui è doppio: da un lato viene compromessa la tua reputazione professionale in modo difficile da riparare, dall’altro si crea un clima di sfiducia generalizzato che avvelena l’ambiente per tutti. E la cosa peggiore? Spesso quando le voci arrivano a te, hanno già fatto il giro dell’ufficio tre volte.

Il Muro di Gomma della Non Collaborazione

Chiedi aiuto per un progetto e ti viene negato senza motivi validi. Proponi una collaborazione e vieni sistematicamente respinto. I colleghi “non hanno tempo” per te, ma stranamente lo trovano per tutti gli altri. Quando hai bisogno di un’informazione che solo loro possiedono, improvvisamente diventano irreperibili.

Questo rifiuto sistematico di collaborare, quando è mirato e ripetuto verso una persona specifica, è una forma di esclusione relazionale che crea un clima ostile e rende praticamente impossibile svolgere efficacemente il proprio lavoro. È come giocare a calcio con una squadra che si rifiuta di passarti la palla: puoi anche essere il miglior giocatore del mondo, ma non riuscirai mai a segnare.

Quale sabotaggio professionale hai vissuto di più?
Furto di meriti
Esclusione da riunioni
Info false o sbagliate
Pettegolezzi sotterranei
Nessuna collaborazione

Distinguere il Conflitto Normale dal Sabotaggio Sistematico

A questo punto potresti pensare: “Ma allora ogni volta che un collega mi sta antipatico è mobbing?” Assolutamente no, e questo è un punto cruciale. La ricerca in psicologia del lavoro distingue chiaramente tra conflitto lavorativo normale e mobbing.

Un conflitto sano è episodico, riguarda questioni specifiche di lavoro, è aperto e può essere risolto attraverso il dialogo. Due colleghi che discutono animatamente su come gestire un cliente stanno avendo un conflitto, non si stanno facendo mobbing. Il disaccordo fa parte della vita lavorativa normale e, se gestito bene, può persino portare a soluzioni migliori.

Il mobbing e il sabotaggio, invece, hanno caratteristiche precise: sono ripetuti nel tempo, mirano alla persona più che al problema lavorativo, sono spesso nascosti o indiretti, creano uno squilibrio di potere attraverso l’isolamento o la delegittimazione, e hanno come obiettivo danneggiare l’altro, non risolvere questioni professionali. Gli esperti indicano che per parlare propriamente di mobbing servono almeno sei mesi di comportamenti sistematici. Un episodio isolato, per quanto spiacevole, non costituisce mobbing.

Le Radici Profonde del Problema

Per capire davvero questi comportamenti dobbiamo guardare al quadro più ampio. L’aggressività relazionale tra adulti nei contesti professionali è oggi un campo di studio consolidato. A differenza dell’aggressività diretta, quella relazionale lavora sulle dinamiche sociali: escludere, diffamare, manipolare informazioni. Ed è particolarmente efficace negli uffici perché è difficile da provare e facile da negare.

Ma c’è un altro attore fondamentale in questa storia: l’organizzazione stessa. Il mobbing prolifera in ambienti dove esiste una cultura permissiva rispetto alla violenza psicologica. Se la competizione è spietata, se vince chi arriva primo a qualsiasi costo, se i comportamenti scorretti non vengono sanzionati ma anzi implicitamente premiati, si crea il terreno perfetto per il sabotaggio tra colleghi.

Aziende con ruoli poco chiari, politiche di valutazione opache, comunicazione carente e leadership assente tendono a favorire queste dinamiche tossiche. Non è un caso che il mobbing sia più frequente in organizzazioni con problemi strutturali di gestione: quando le regole del gioco non sono chiare, ognuno si fa le proprie, e spesso lo fa a scapito degli altri.

Cosa Puoi Fare per Proteggerti

Riconoscere il problema è solo il primo passo. Ma poi? La buona notizia è che esistono strategie concrete per proteggerti, strategie che arrivano direttamente dalle linee guida dei servizi di prevenzione dei rischi psicosociali.

Prima cosa: documenta tutto. Data, ora, cosa è successo, chi era presente. Conserva email, messaggi, qualsiasi comunicazione scritta. Questa documentazione è fondamentale perché la ripetitività nel tempo è il criterio centrale per il riconoscimento del mobbing. Se dovesse servire in futuro, per parlare con le risorse umane o per tutele legali, avrai le prove concrete.

Seconda cosa: non isolarti ulteriormente. Chi subisce mobbing tende a ritirarsi per protezione o vergogna, ma l’isolamento è esattamente ciò che chi ti sabota desidera. La ricerca sul supporto sociale nei contesti lavorativi mostra che avere alleati e relazioni positive è uno dei principali fattori protettivi. Mantieni e coltiva rapporti sani con altri colleghi. Non sei solo, e avere testimoni affidabili conta.

Terza cosa: con chi ti sta sabotando, mantieni una comunicazione rigorosamente professionale e documentata. Evita confronti solo emotivi. Se possibile, riduci le interazioni al minimo e assicurati che siano tracciabili. Preferisci sempre le email alle conversazioni a voce: le parole volano, gli scritti restano.

Se i comportamenti persistono, considera di rivolgerti alle risorse umane o al responsabile del personale. Non presentarti come qualcuno che si lamenta, ma come un professionista che segnala una situazione che sta impattando sulla produttività e sul clima. Usa un linguaggio fattuale, porta esempi concreti, proponi soluzioni. Questo approccio è molto più efficace dell’appello emotivo.

E non sottovalutare l’impatto psicologico. Il mobbing ha effetti documentati: ansia, depressione, perdita di autostima, disturbi del sonno, stress cronico. Se stai sperimentando questi sintomi, rivolgerti a uno psicologo del lavoro non è debolezza, ma intelligenza. Un professionista può aiutarti a gestire lo stress e a valutare oggettivamente la situazione.

Valuta tutte le tue opzioni. A volte, nonostante tutti gli sforzi, un ambiente rimane tossico. Considerare un cambio di posizione o di azienda non è una sconfitta, ma una scelta di tutela del benessere. La tua salute mentale vale più di qualsiasi lavoro specifico.

Se Non Sei la Vittima Ma Sei Testimone

E se non sei tu quello nel mirino, ma riconosci questi comportamenti verso un collega? Hai un’opportunità importante. La ricerca sui testimoni attivi nei contesti organizzativi suggerisce che l’intervento anche discreto dei colleghi può ridurre frequenza e impatto dei comportamenti vessatori.

Non devi fare l’eroe. A volte basta un semplice “ho notato che non sei stato invitato alla riunione, vuoi che ti aggiorni?” per fare la differenza. Rompi l’isolamento, fornisci supporto informale. Rifiutati di alimentare pettegolezzi e voci infondate: la scelta individuale di non partecipare a campagne diffamatorie contribuisce a contenere il danno e a migliorare il clima di fiducia.

Nel tuo piccolo, promuovi una cultura di collaborazione. Condividi meriti, riconosci contributi altrui, includi piuttosto che escludere. I comportamenti positivi sono contagiosi e possono contrastare, almeno in parte, le dinamiche tossiche.

Consapevolezza Senza Paranoia

Una precisazione fondamentale: questo articolo non vuole creare paranoia o incoraggiarti a vedere nemici ovunque. La maggior parte delle persone va al lavoro con intenzioni oneste. I conflitti sono normali. La competizione, se ben gestita, può essere stimolante. Non ogni critica è un attacco, non ogni dimenticanza è sabotaggio, non ogni collega silenzioso è un nemico.

L’obiettivo è sviluppare consapevolezza: sapere che certi comportamenti esistono, riconoscerli quando diventano pattern sistematici, e avere strumenti per proteggerti. Si tratta di tutelare il tuo benessere psicologico e professionale, non di dichiarare guerra all’ufficio.

Come spesso accade in psicologia applicata al lavoro, la conoscenza è potere. Sapere cosa cercare, capire le dinamiche in gioco, riconoscere quando una situazione supera il livello di normale conflitto ti permette di agire tempestivamente ed efficacemente. Perché tutti meritiamo un ambiente di lavoro dove la competizione sia leale, le relazioni sane e il successo si costruisca sul merito reale, non sul sabotaggio degli altri.

E se ti riconosci in queste dinamiche, tieni a mente una cosa: non sei solo, non te lo stai inventando, e meriti rispetto e professionalità esattamente come chiunque altro. Il primo passo per cambiare la situazione è riconoscerla per quello che è. Ora hai gli strumenti per farlo.

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